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Il telegrafo cambia la vita delle donne

Come l'invenzione del telegrafo ha influenzato la nostra storia e anche la vita delle donne.

Ruolo delle donne Senza il telegrafo, una delle grandi invenzioni dell’Ottocento, Giuseppe Garibaldi non avrebbe potuto spedire nel 1866 quel famosissimo, e per l’appunto telegrafico, “Obbedisco” al generale La Marmora, durante la terza guerra di indipendenza. Senza il telegrafo senza fili, brevettato da Guglielmo Marconi nel 1896, il Titanic non avrebbe potuto lanciare alcun S.O.S.

Scrittori, italiani e stranieri, come l’italiana Matilde Serao, lo statunitense Henry James e l’inglese Anthony Trollope non avrebbero potuto scrivere romanzi e racconti che hanno come protagonista un’impiegata dei telegrafi. In tempi più recenti, Enzo Jannacci non avrebbe composto la malinconica canzone “Giovanni telegrafista”. 

Il telegrafo ha un forte impatto sulla società anche perché favorisce l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, in ruoli diversi da quelli canonici dell’insegnante, della crocerossina, della governante o dell’operaia.

Nelle Regie Poste, una delle prime Amministrazioni dello Stato ad aprirsi al lavoro femminile, le donne cominciano a lavorare come telegrafiste, un’attività che non comporta alcun contatto con esponenti dell’altro sesso.


Ruolo delle donne La centralinista del telefono si ritroverebbe a parlare con degli uomini che sono dei perfetti sconosciuti; la portalettere se ne andrebbe in giro incontrando gente di ogni tipo.  L’impiegata, nel suo ufficio, sarebbe un po’ più al sicuro, ma, fra colleghi e clienti, avrebbe a che fare con troppi uomini. Nella società di fine Ottocento, inizi Novecento (e oltre), la donna nubile può avere contatti con esponenti dell’altro sesso, di norma, a condizione che sia accompagnata da un fratello, da un padre o almeno da una sorella o da una amica. La telegrafista lavora in sale apparati insieme ad altre donne; il suo lavoro è diretto da una donna e il telegrafo non la costringe ad avere a che fare nemmeno con la voce di un uomo. Il mestiere della centralinista, che si afferma grosso modo nello stesso periodo, esponendo la centralinista ai soli contatti uditivi, è quasi altrettanto innocuo. Quasi.

Questo l’esordio del lavoro femminile alle Poste, nel 1863.  Già dal 1865, tuttavia, le donne lavorano anche come impiegate di uffici postali, come portalettere e come gerenti di uffici, dapprima in ricevitorie postali e telegrafiche minori, in zone rurali, poi anche in città, dove fare la portalettere diventerà quasi un mestiere alla moda. Alcuni acquarelli conservati al Museo Storico della Comunicazione ritraggono una postina del 1916 nella sua divisa, con il suo cappellino e un bel portamento. La possibilità di lavorare alle Poste è riservata in principio solo a vedove, figlie e sorelle nubili di impiegati delle Poste deceduti, un limite poi superato.

telegrafo Naturalmente non è tutto rose e fiori. Agli inizi le retribuzioni sono più basse, come d’altronde accadeva in generale nel mondo del lavoro, specie per personale avventizio, ausiliario. Se ci si sposa si viene licenziate, perché si ritiene che il ruolo di moglie e di madre sia incompatibile con il lavoro femminile, come spiega nel 1873 il Direttore Generale dei Telegrafi Ernesto D’Amico: Si sono escluse le donne maritate per non distogliere le madri dall’adempimento di quei doveri che in loro devono sovrastare a qualsiasi altro. Quando a fine Ottocento l’obbligo di nubilato viene abolito, il lavoro della donna sposata è subordinato all’approvazione del coniuge che deve essere formalizzata nell’autorizzazione maritale. Con la Grande Guerra, quando postini, fattorini, direttori, impiegati, telegrafisti, tecnici e contabili delle Poste sono precettati e impegnati al fronte, sono le donne a sostituirli. Egregiamente. A guerra finita, però, le donne molto spesso tornano ai lavori domestici mentre gli uomini riprendono il proprio posto di lavoro, come se nulla fosse. Qualcosa è comunque cambiato: per l’assunzione non servirà più l’autorizzazione del marito. Torna sempre utile, comunque, una bella lettera di referenze del sindaco o del parroco che attesti l’ottima condotta morale della candidata. Una volta assunte provvederà (anche) l’amministrazione delle Poste a vigilare. In quegli anni vengono guardate con sospetto quelle giovani che vivano da sole, perché ci si immagina che, l’assenza di un padre, di un marito, di un fratello, possa fare di loro donne dai facili costumi, simili alla protagonista di un romanzo del 1913 scritto dalla telegrafista Clotilde Scanabissi (in arte, Nyta Jasmar). In realtà sono tutte persone serie, istruite, che spesso conoscono anche il francese (come richiesto per lavorare nella telegrafia), capaci anche di affrontare maratone di straordinari sotto le feste o in occasione delle elezioni politiche. Con la telegrafia le donne entrano nel mondo del lavoro, in un ruolo specialistico, avendo a che fare con le nuove mirabolanti tecnologie dell’epoca ed entrano anche nell’iconografia di questa nuova attività come attestano le foto tratte da un volume del 1911.

Nella sezione “I nostri filmati” il video Il ruolo delle donne ripercorre questa storia.
archiviostorico@posteitaliane.it