“Classico fuori, moderno dentro”, così si può descrivere il Palazzo delle Poste di La Spezia, inaugurato a novembre del 1933, parafrasando una nota del suo progettista Angiolo Mazzoni. La stampa dell’epoca elogia la nuova opera architettonica definendola “nitida, sostanziale, pregevole per equilibrio e vigore (…) elegante e originale”.
Il progetto del palazzo risale al 1928-29 quando La Spezia era diventata capoluogo di provincia da soli cinque anni.
Il giudizio più entusiasta è quello dell’artista futurista Luigi Colombo detto Fillìa che così si esprime: “L’attività di Angiolo Mazzoni è soprattutto importante perché le sue architetture sono edifici pubblici nel cuore della città. […] specialmente nell’interno, ideato e arredato con progetti più recenti, si ha una prova chiara e innegabile della superiorità di questo edificio (…) nel giuoco orizzontale dei marmi neri e rosa, nello splendore e nei colori dei metalli […] la rinuncia definitiva a tutte le sculture di sapore neoclassico che s’innalzavano sulla facciata, all’abolizione di ogni decorazione esterna. Rimane così il puro giuoco dei volumi del Palazzo intimamente legato al movimento urbanistico della parte alta e della parte bassa della città con una scala che sale lungo il fianco destro e dinamizza mirabilmente le forme.”
Il palazzo fu realizzato in pieno stile futurista nel quartiere che è oggi il Centro Storico della città: edificata tra gli anni Venti e Trenta, questa zona ospitava i principali edifici pubblici di La Spezia.
Angiolo Mazzoni, ingegnere e architetto del Ministero delle Comunicazioni conferisce all'edificio un effetto monumentale nonostante i vincoli dati dallo spazio esiguo e dalle differenze di livello del terreno. L’edificio sorge ai piedi di una piccola collina ed è collegato a Via XX Settembre (posta a notevole dislivello) da una serie di scalinate e giardini pensili a terrazza, addossati al massiccio muro di contenimento in laterizi a vista. Le scalinate fungono da collegamento tra Piazza Verdi e il livello superiore, posto nel retro dell’edificio. Questa specifica conformazione rappresenta un vero e proprio elemento di comunicazione urbana.
L’edificio, che risulta imponente, è caratterizzato da volumi squadrati, alleggeriti in facciata da nicchie che ospitano alte aperture ad arco sormontate da finestre, ed è collegato all’antistante Piazza Verdi con la scalinata che si sviluppa su tre lati.
La facciata gioca con il contrasto tra la semplicità del paramento in laterizi a vista e il rivestimento in marmo, materiale presente anche all'interno in una ampia gamma policroma.
Due volumi laterali sporgono rispetto alla giacitura del prospetto principale a destra del quale si erge una massiccia torre quadrata, con l’orologio, al cui interno sono conservati i mosaici degli artisti Luigi Colombo detto Fillìa ed Enrico Prampolini che l’architetto Angiolo Mazzoni coinvolse (all’epoca le leggi edilizie prescrivevano di destinare parte dei costi di costruzione all’installazione di opere d'arte permanenti per qualificare e valorizzare lo spazio architettonico).
Ai due artisti futuristi Angiolo Mazzoni affida i mosaici della Torre dell’Orologio. Denominati Le vie del mare e del cielo i quattro grandi pannelli (che coprono complessivamente circa 200 metri quadrati) rappresentano le comunicazioni terrestri, marittime, telegrafiche e aeree. I fasci di luce provenienti dalle finestre poste alla sommità della torre enfatizzano lo sviluppo elicoidale della scala, e le pareti in semplice laterizio esaltano per contrasto i colori accesi dei mosaici.
I due pannelli di Fillìa rappresentano “Le comunicazioni terrestri e marittime”, con il suo caratteristico stile geometrico–aeropittorico esemplificato in modo esemplare da quel treno sfrecciante su disco rosso.
Gli altri due, opera di Prampolini, raffigurano “Le comunicazioni telegrafiche, telefoniche ed aeree” in una visione ai limiti dell’astrazione che era tipica dell’artista in quel periodo. Un’opera di assoluto valore che si può ammirare nel modo più appropriato man mano che si percorre l’ampia scalinata che conduce ai mosaici e alla sommità della torre.
Dai quattro disegni elaborati dai due artisti vengono tratti i cartoni in scala dai pittori Renato Rigetti e Cesare Androni che la Società Anonima Ceramica Ligure, all’epoca la più importante fabbrica italiana del settore e una delle prime in Europa, utilizza per realizzare i pannelli.
LA FONTANA
Sul lato sinistro della facciata, arretrata rispetto al prospetto principale, si ergeva la fontana realizzata dall’architetto Angiolo Mazzoni. Durante la seconda guerra mondiale la vasca della fontana e la scalinata antistante furono demolite per fare spazio a un rifugio antiaereo e alla galleria che ad esso vi conduceva.
La vasca fu trasformata in due fioriere ai lati dell’accesso al rifugio, mentre restarono intatte le alte nicchie contenenti le fontane vere e proprie.
Poste Italiane in un’ottica di valorizzazione del proprio patrimonio architettonico e artistico, ha finanziato la ricostruzione originaria con l’obiettivo di restituire alla città la bellezza di questo scorcio del centro storico.
Nel recupero della conformazione originale degli spazi esterni del Palazzo delle Poste, la valorizzazione dello “slargo” a lato del palazzo e della fontana, è stato uno degli ultimi interventi più significativi.
Il progetto, commissionato dalla Società Acquedotti Tirreni è stato realizzato dal VELA_Studio Architetti di Marco Saporiti e Oscar Roberto Biassoni della Spezia.
L’intervento non solo ha ripristinato la scalinata di fronte alla vasca della fontana in continuità con quella che caratterizza tutta la facciata principale e che collega l’accesso dell’edificio a Piazza Verdi, ma anche le quattro cascate originali.
E’ stata inoltre realizzata una nuova rampa per diversamente abili collocata sulla sinistra della vasca in aderenza al palazzo futurista “Casa Bertagna”.
La fontana è stata dotata di un impianto di illuminazione, con fasci di luce dal basso che enfatizzano la verticalità delle nicchie originali e ne esaltano la bellezza, e di un sistema di tracimazione “a sfioro” su tutto il lato frontale. L’acqua viene così raccolta in una vasca di compenso che consente di mantenerne costante il livello e di eliminare le possibili impurità presenti in superficie. Una volta confluita nella suddetta vasca, viene inviata all'impianto filtrante e, depurata, reimmessa nella vasca dalle bocchette di immissione.
I PALAZZI DELLE POSTE FRA LE DUE GUERRE
L’architettura dei Palazzi delle Poste progettati fra le due guerre mondiali costituisce una pagina importante nella storia dell’architettura del Novecento.
Negli anni Trenta si confrontano (e spesso si scontrano) in Italia correnti che interpretano in modo diverso il carattere monumentale che questi Palazzi non possono non avere. Il Palazzo delle Poste deve simboleggiare la presenza dello Stato, ne deve evidenziare la sua grandezza e anche per questo deve essere visibile, riconoscibile anche da lontano, grazie a torri che svettano su cui orologi – capolavori di ingegneria e opere d’arte - scandiscono il tempo. Contemporaneamente deve essere, con i propri servizi, un centro operativo al servizio della comunità cittadina e degli affari.
Alla monumentalità delle grandi facciate si affianca il dinamismo dell’epoca moderna, caratterizzato dal vortice incessante delle corrispondenze, delle comunicazioni telegrafiche via cavo o via radio (grazie al telegrafo senza fili inventato da Guglielmo Marconi), dal ronzio degli apparati telegrafici Hughes e Morse in continuo movimento, dalle centrali della posta pneumatica.
Edifici in cui la monumentalità, non solo esteriore, è accompagnata da una progettazione assoggettata a principi di funzionalità: grandi saloni, dotati di banconi e scrivanie e abat-jour accolgono il pubblico, con spazi distinti per la corrispondenza, i vaglia e risparmi, i telegrammi; spazi altrettanto ampi accolgono gli imponenti macchinari e apparati.
I Palazzi delle Poste, progettati da ingegneri e architetti come Angiolo Mazzoni, Adalberto Libera, Marcello Piacentini, Roberto Narducci, Cesare Bazzani, Franco Petrucci, Giuseppe Vaccaro, ognuno con il proprio stile e la propria visione, hanno lasciato un segno nella storia dell’architettura del secolo scorso.
La monumentalità e la funzionalità di questi edifici è spesso impreziosita dalla presenza di arredi in cui design e arte si vengono incontro e dalla bellezza delle opere d’arte che vi sono accolte e che, in diversi casi, per questi edifici sono state espressamente commissionate e realizzate. I mosaici di di Fillìa e di Prampolini per il Palazzo delle Poste di La Spezia, quelli di Gino Severini per le Poste di Alessandria, le enormi tele di Benedetta Cappa Marinetti per il Palazzo delle Poste di Palermo, le sculture di Domenico Ponzi (Palermo e Grosseto) e di Arturo Martini (Napoli), e in vetro pulegoso di Napoleone Martinuzzi (Bergamo). Senza dimenticare il pittore Mario Sironi con i suoi teleri a Bergamo, Matilde Festa Piacentini e Guido Cadorin a Gorizia, insieme al quadro “Treno in corsa” di Guglielmo Sansoni (detto Tato) presente con due quadri anche a Palermo in una sala che accoglie anche la futuribile opera pittorica di Piero Bevilacqua “Radio e Televisione”.
Il progetto del palazzo risale al 1928-29 quando La Spezia era diventata capoluogo di provincia da soli cinque anni.
Il giudizio più entusiasta è quello dell’artista futurista Luigi Colombo detto Fillìa che così si esprime: “L’attività di Angiolo Mazzoni è soprattutto importante perché le sue architetture sono edifici pubblici nel cuore della città. […] specialmente nell’interno, ideato e arredato con progetti più recenti, si ha una prova chiara e innegabile della superiorità di questo edificio (…) nel giuoco orizzontale dei marmi neri e rosa, nello splendore e nei colori dei metalli […] la rinuncia definitiva a tutte le sculture di sapore neoclassico che s’innalzavano sulla facciata, all’abolizione di ogni decorazione esterna. Rimane così il puro giuoco dei volumi del Palazzo intimamente legato al movimento urbanistico della parte alta e della parte bassa della città con una scala che sale lungo il fianco destro e dinamizza mirabilmente le forme.”
Il palazzo fu realizzato in pieno stile futurista nel quartiere che è oggi il Centro Storico della città: edificata tra gli anni Venti e Trenta, questa zona ospitava i principali edifici pubblici di La Spezia.
Angiolo Mazzoni, ingegnere e architetto del Ministero delle Comunicazioni conferisce all'edificio un effetto monumentale nonostante i vincoli dati dallo spazio esiguo e dalle differenze di livello del terreno. L’edificio sorge ai piedi di una piccola collina ed è collegato a Via XX Settembre (posta a notevole dislivello) da una serie di scalinate e giardini pensili a terrazza, addossati al massiccio muro di contenimento in laterizi a vista. Le scalinate fungono da collegamento tra Piazza Verdi e il livello superiore, posto nel retro dell’edificio. Questa specifica conformazione rappresenta un vero e proprio elemento di comunicazione urbana.
L’edificio, che risulta imponente, è caratterizzato da volumi squadrati, alleggeriti in facciata da nicchie che ospitano alte aperture ad arco sormontate da finestre, ed è collegato all’antistante Piazza Verdi con la scalinata che si sviluppa su tre lati.
La facciata gioca con il contrasto tra la semplicità del paramento in laterizi a vista e il rivestimento in marmo, materiale presente anche all'interno in una ampia gamma policroma.
Due volumi laterali sporgono rispetto alla giacitura del prospetto principale a destra del quale si erge una massiccia torre quadrata, con l’orologio, al cui interno sono conservati i mosaici degli artisti Luigi Colombo detto Fillìa ed Enrico Prampolini che l’architetto Angiolo Mazzoni coinvolse (all’epoca le leggi edilizie prescrivevano di destinare parte dei costi di costruzione all’installazione di opere d'arte permanenti per qualificare e valorizzare lo spazio architettonico).
Ai due artisti futuristi Angiolo Mazzoni affida i mosaici della Torre dell’Orologio. Denominati Le vie del mare e del cielo i quattro grandi pannelli (che coprono complessivamente circa 200 metri quadrati) rappresentano le comunicazioni terrestri, marittime, telegrafiche e aeree. I fasci di luce provenienti dalle finestre poste alla sommità della torre enfatizzano lo sviluppo elicoidale della scala, e le pareti in semplice laterizio esaltano per contrasto i colori accesi dei mosaici.
I due pannelli di Fillìa rappresentano “Le comunicazioni terrestri e marittime”, con il suo caratteristico stile geometrico–aeropittorico esemplificato in modo esemplare da quel treno sfrecciante su disco rosso.
Gli altri due, opera di Prampolini, raffigurano “Le comunicazioni telegrafiche, telefoniche ed aeree” in una visione ai limiti dell’astrazione che era tipica dell’artista in quel periodo. Un’opera di assoluto valore che si può ammirare nel modo più appropriato man mano che si percorre l’ampia scalinata che conduce ai mosaici e alla sommità della torre.
Dai quattro disegni elaborati dai due artisti vengono tratti i cartoni in scala dai pittori Renato Rigetti e Cesare Androni che la Società Anonima Ceramica Ligure, all’epoca la più importante fabbrica italiana del settore e una delle prime in Europa, utilizza per realizzare i pannelli.
LA FONTANA
Sul lato sinistro della facciata, arretrata rispetto al prospetto principale, si ergeva la fontana realizzata dall’architetto Angiolo Mazzoni. Durante la seconda guerra mondiale la vasca della fontana e la scalinata antistante furono demolite per fare spazio a un rifugio antiaereo e alla galleria che ad esso vi conduceva.
La vasca fu trasformata in due fioriere ai lati dell’accesso al rifugio, mentre restarono intatte le alte nicchie contenenti le fontane vere e proprie.
Poste Italiane in un’ottica di valorizzazione del proprio patrimonio architettonico e artistico, ha finanziato la ricostruzione originaria con l’obiettivo di restituire alla città la bellezza di questo scorcio del centro storico.
Nel recupero della conformazione originale degli spazi esterni del Palazzo delle Poste, la valorizzazione dello “slargo” a lato del palazzo e della fontana, è stato uno degli ultimi interventi più significativi.
Il progetto, commissionato dalla Società Acquedotti Tirreni è stato realizzato dal VELA_Studio Architetti di Marco Saporiti e Oscar Roberto Biassoni della Spezia.
L’intervento non solo ha ripristinato la scalinata di fronte alla vasca della fontana in continuità con quella che caratterizza tutta la facciata principale e che collega l’accesso dell’edificio a Piazza Verdi, ma anche le quattro cascate originali.
E’ stata inoltre realizzata una nuova rampa per diversamente abili collocata sulla sinistra della vasca in aderenza al palazzo futurista “Casa Bertagna”.
La fontana è stata dotata di un impianto di illuminazione, con fasci di luce dal basso che enfatizzano la verticalità delle nicchie originali e ne esaltano la bellezza, e di un sistema di tracimazione “a sfioro” su tutto il lato frontale. L’acqua viene così raccolta in una vasca di compenso che consente di mantenerne costante il livello e di eliminare le possibili impurità presenti in superficie. Una volta confluita nella suddetta vasca, viene inviata all'impianto filtrante e, depurata, reimmessa nella vasca dalle bocchette di immissione.
I PALAZZI DELLE POSTE FRA LE DUE GUERRE
L’architettura dei Palazzi delle Poste progettati fra le due guerre mondiali costituisce una pagina importante nella storia dell’architettura del Novecento.
Negli anni Trenta si confrontano (e spesso si scontrano) in Italia correnti che interpretano in modo diverso il carattere monumentale che questi Palazzi non possono non avere. Il Palazzo delle Poste deve simboleggiare la presenza dello Stato, ne deve evidenziare la sua grandezza e anche per questo deve essere visibile, riconoscibile anche da lontano, grazie a torri che svettano su cui orologi – capolavori di ingegneria e opere d’arte - scandiscono il tempo. Contemporaneamente deve essere, con i propri servizi, un centro operativo al servizio della comunità cittadina e degli affari.
Alla monumentalità delle grandi facciate si affianca il dinamismo dell’epoca moderna, caratterizzato dal vortice incessante delle corrispondenze, delle comunicazioni telegrafiche via cavo o via radio (grazie al telegrafo senza fili inventato da Guglielmo Marconi), dal ronzio degli apparati telegrafici Hughes e Morse in continuo movimento, dalle centrali della posta pneumatica.
Edifici in cui la monumentalità, non solo esteriore, è accompagnata da una progettazione assoggettata a principi di funzionalità: grandi saloni, dotati di banconi e scrivanie e abat-jour accolgono il pubblico, con spazi distinti per la corrispondenza, i vaglia e risparmi, i telegrammi; spazi altrettanto ampi accolgono gli imponenti macchinari e apparati.
I Palazzi delle Poste, progettati da ingegneri e architetti come Angiolo Mazzoni, Adalberto Libera, Marcello Piacentini, Roberto Narducci, Cesare Bazzani, Franco Petrucci, Giuseppe Vaccaro, ognuno con il proprio stile e la propria visione, hanno lasciato un segno nella storia dell’architettura del secolo scorso.
La monumentalità e la funzionalità di questi edifici è spesso impreziosita dalla presenza di arredi in cui design e arte si vengono incontro e dalla bellezza delle opere d’arte che vi sono accolte e che, in diversi casi, per questi edifici sono state espressamente commissionate e realizzate. I mosaici di di Fillìa e di Prampolini per il Palazzo delle Poste di La Spezia, quelli di Gino Severini per le Poste di Alessandria, le enormi tele di Benedetta Cappa Marinetti per il Palazzo delle Poste di Palermo, le sculture di Domenico Ponzi (Palermo e Grosseto) e di Arturo Martini (Napoli), e in vetro pulegoso di Napoleone Martinuzzi (Bergamo). Senza dimenticare il pittore Mario Sironi con i suoi teleri a Bergamo, Matilde Festa Piacentini e Guido Cadorin a Gorizia, insieme al quadro “Treno in corsa” di Guglielmo Sansoni (detto Tato) presente con due quadri anche a Palermo in una sala che accoglie anche la futuribile opera pittorica di Piero Bevilacqua “Radio e Televisione”.