Sono le 10.30 del 19 aprile 1917 quando ha inizio la cerimonia inaugurale del nuovo Palazzo delle Regie Poste, Telegrafi e Telefoni di Firenze. Dopo quattordici anni di “vicende edilizie e burocratiche, difficoltà reali di progetti e di esecuzioni, disformità di concepimenti teorici e di realtà pratiche” il nuovo edificio di via Pellicceria è pronto ad accogliere il pubblico.
Le parole sono del Sindaco di Firenze, Osvaldo Bacci, che nel discorso inaugurale sottolinea la storia tortuosa dell’edificio e rivendica il ruolo centrale del Comune nella realizzazione dell’opera: “Il Comune, che dette all’opera giustamente reclamata dalla città cospicuo contributo con la prima cessione di favore, e poi con la seconda, del tutto gratuita, dell’area su cui il palazzo sorge, eseguì il mandato affidatogli della costruzione per mezzo del suo ufficio tecnico; il che importò anche altro non piccolo contributo finanziario.”
L’Illustrazione Italiana del 5 aprile 1917 fotografa uno dei momenti critici del cantiere: “Approvato il progetto ed iniziati i lavori nel 1906 e raggiunto colle opere murarie il piano terra, dopo ciò costruiti i sotterranei, lo Stato avendo bisogno di una sede più ampia e decorosa per i servizi telefonici, al seguito di una visita ai lavori fatta dal ministro Schanzer, veniva stabilito che fosse ampliato il palazzo, che allora si limitava ad una sola parte della zona attualmente occupata, per dar posto a tutti gli ambienti necessari anche ai servizi telefonici.”
A quel punto i lavori sono sospesi. Serve un nuovo progetto che accolga le istanze del Ministero e ottenga la copertura dei costi.
L’incarico è confermato all’ing. Vittorio Tognetti , capo dell’Ufficio Tecnico, affiancato da Rodolfo Sabatini, architetto dell’Ufficio Belle Arti e Antichità del Comune. Il nuovo progetto da luogo a un’ulteriore convenzione fra lo Stato, il Comune di Firenze e la locale Cassa di Risparmio con un’elevazione della spesa complessiva a L. 2.100.000. È necessario attendere sino al 15 maggio 1910, perché la nuova convenzione diventi legge e i lavori possano riprendere.
È a questo punto della storia che entra in gioco la “questione della pietra forte”.
Nel progetto, “inspirato alla bella epoca del Rinascimento fiorentino”, per contenere tempi e costi, i rivestimenti esterni sono previsti in travertino, una pietra che si presta ad essere modellata con facilità. Questa finitura tuttavia è contestata dagli ambienti accademici fiorentini che sostengono, per coerenza stilistica, l’utilizzo della pietra forte locale come avvenuto nei secoli per la città stessa e i suoi prestigiosi palazzi. La variante comporta una maggiorazione della spesa di ben L. 70.000; tuttavia, l’Amministrazione Comunale, guidata all’epoca dall’illuminato sindaco Francesco Sangiorgi, è decisa a salvaguardare la tradizione e il decoro della città e si assume l’onere della modifica.
La questione “pietra forte” mette allo scoperto le divergenze professionali tra l’ing. Tognetti e l’arch. Sabatini, improntate l’una al tecnicismo e l’altra alla creatività e al senso estetico; un’incompatibilità destinata a crescere nel corso dei lavori, alimentata da pesanti insinuazioni personali e sfociata, alla fine, in una vera e propria vertenza per l’attribuzione dell’opera, riconosciuta poi al Sabatini.
Ma la scelta tra travertino e pietra forte è molto più che una questione estetica.
Lo spiega un vibrante passaggio del discorso tenuto dal Ministro delle Poste, on. Luigi Fera, durante la cerimonia di inaugurazione: “...Fu bene che questa imponente costruzione si nutrisse nelle sue basi e nelle sue vertebre di pietra forte e tenace, a simiglianza di quanto faceva Firenze, nei periodi più gloriosi della sua vita municipale ed in quelli della Signori medicea, […] è la pietra forte che prevale nei momenti in cui Firenze esercita incontrastato il suo dominio nella politica e nelle arti; è invece la pietra dolce che prende il sopravvento quando la decadenza minaccia o si afferma. […] abbiamo scelta la pietra forte perché siamo anche noi in un’epoca forte; l’oscuro moto interiore che guidò la nostra preferenza fu il presagio lontano dell’ora eroica che doveva venire e che è sopravvenuta. E come la qualità della pietra contrassegna nella storia di Firenze i vertici della sua maggior potenza, così essa contrassegnerà – è lecito sperare – nella storia, non più solo di Firenze ma d’Italia, il nuovo nostro cammino di gloria”.
Nella sezione “I nostri filmati”, il video i Palazzi delle Poste offre una carrellata dei principali edifici postali realizzati dall’Unità d’Italia agli anni Quaranta del secolo scorso.
Le parole sono del Sindaco di Firenze, Osvaldo Bacci, che nel discorso inaugurale sottolinea la storia tortuosa dell’edificio e rivendica il ruolo centrale del Comune nella realizzazione dell’opera: “Il Comune, che dette all’opera giustamente reclamata dalla città cospicuo contributo con la prima cessione di favore, e poi con la seconda, del tutto gratuita, dell’area su cui il palazzo sorge, eseguì il mandato affidatogli della costruzione per mezzo del suo ufficio tecnico; il che importò anche altro non piccolo contributo finanziario.”
L’Illustrazione Italiana del 5 aprile 1917 fotografa uno dei momenti critici del cantiere: “Approvato il progetto ed iniziati i lavori nel 1906 e raggiunto colle opere murarie il piano terra, dopo ciò costruiti i sotterranei, lo Stato avendo bisogno di una sede più ampia e decorosa per i servizi telefonici, al seguito di una visita ai lavori fatta dal ministro Schanzer, veniva stabilito che fosse ampliato il palazzo, che allora si limitava ad una sola parte della zona attualmente occupata, per dar posto a tutti gli ambienti necessari anche ai servizi telefonici.”
A quel punto i lavori sono sospesi. Serve un nuovo progetto che accolga le istanze del Ministero e ottenga la copertura dei costi.
L’incarico è confermato all’ing. Vittorio Tognetti , capo dell’Ufficio Tecnico, affiancato da Rodolfo Sabatini, architetto dell’Ufficio Belle Arti e Antichità del Comune. Il nuovo progetto da luogo a un’ulteriore convenzione fra lo Stato, il Comune di Firenze e la locale Cassa di Risparmio con un’elevazione della spesa complessiva a L. 2.100.000. È necessario attendere sino al 15 maggio 1910, perché la nuova convenzione diventi legge e i lavori possano riprendere.
È a questo punto della storia che entra in gioco la “questione della pietra forte”.
Nel progetto, “inspirato alla bella epoca del Rinascimento fiorentino”, per contenere tempi e costi, i rivestimenti esterni sono previsti in travertino, una pietra che si presta ad essere modellata con facilità. Questa finitura tuttavia è contestata dagli ambienti accademici fiorentini che sostengono, per coerenza stilistica, l’utilizzo della pietra forte locale come avvenuto nei secoli per la città stessa e i suoi prestigiosi palazzi. La variante comporta una maggiorazione della spesa di ben L. 70.000; tuttavia, l’Amministrazione Comunale, guidata all’epoca dall’illuminato sindaco Francesco Sangiorgi, è decisa a salvaguardare la tradizione e il decoro della città e si assume l’onere della modifica.
La questione “pietra forte” mette allo scoperto le divergenze professionali tra l’ing. Tognetti e l’arch. Sabatini, improntate l’una al tecnicismo e l’altra alla creatività e al senso estetico; un’incompatibilità destinata a crescere nel corso dei lavori, alimentata da pesanti insinuazioni personali e sfociata, alla fine, in una vera e propria vertenza per l’attribuzione dell’opera, riconosciuta poi al Sabatini.
Ma la scelta tra travertino e pietra forte è molto più che una questione estetica.
Lo spiega un vibrante passaggio del discorso tenuto dal Ministro delle Poste, on. Luigi Fera, durante la cerimonia di inaugurazione: “...Fu bene che questa imponente costruzione si nutrisse nelle sue basi e nelle sue vertebre di pietra forte e tenace, a simiglianza di quanto faceva Firenze, nei periodi più gloriosi della sua vita municipale ed in quelli della Signori medicea, […] è la pietra forte che prevale nei momenti in cui Firenze esercita incontrastato il suo dominio nella politica e nelle arti; è invece la pietra dolce che prende il sopravvento quando la decadenza minaccia o si afferma. […] abbiamo scelta la pietra forte perché siamo anche noi in un’epoca forte; l’oscuro moto interiore che guidò la nostra preferenza fu il presagio lontano dell’ora eroica che doveva venire e che è sopravvenuta. E come la qualità della pietra contrassegna nella storia di Firenze i vertici della sua maggior potenza, così essa contrassegnerà – è lecito sperare – nella storia, non più solo di Firenze ma d’Italia, il nuovo nostro cammino di gloria”.
Nella sezione “I nostri filmati”, il video i Palazzi delle Poste offre una carrellata dei principali edifici postali realizzati dall’Unità d’Italia agli anni Quaranta del secolo scorso.