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La nascita di una nazione: la lingua come patria

L’obiettivo nell’Italia del 1862 è incentivare lo scambio di comunicazioni, perché solo in questo modo gli italiani possono cominciare a sentirsi veramente tali e a parlare italiano.

Carabinieri, militari, poliziotti, prefetti, ministri, governi contribuiscono a tenere unito uno Stato ancora in fieri qual era l’Italia del 1862, ma non possono, nemmeno con la più ferrea disciplina, trasformare d’un colpo i cittadini dei precedenti stati preunitari, anzi, i sudditi del Regno di Sardegna, del Granducato di Modena, del Regno delle Due Sicilie, del Principato di Parma e via discorrendo, in italiani, né possono, con un colpo di bacchetta magica, farli parlare nella più sconosciuta delle lingue, l’italiano.

Fra i più colti, la lingua che a un lombardo e a un siciliano permette di intendersi è il francese. L’italiano è ancora di là da venire. C’è un solo modo per acquisire una lingua comune. Prima di tutto sentirsi parte, essere parte di una comunità che non sia più quella data dai confini del borgo, della regione. Quindi, l’apprendimento e la pratica della nuova lingua.
Sotto il profilo simbolico a rappresentare visivamente l’appartenenza ad una nuova comunità, o quantomeno ad un nuovo stato, è l’effige del nuovo Re d’Italia Vittorio Emanuele II che dal 1863 compare sui francobolli del Regno d’Italia, accompagnata sui due lati dalle parole “francobollo italiano”.

Gli italiani non si conoscono, parlano lingue diverse, ognuno il proprio dialetto. Quando, nelle guerre di indipendenza, persone di paesi diversi si trovano a combattere insieme, semplicemente, non si capiscono, non capiscono gli ordini, non sanno come darne facendosi comprendere.

L’obiettivo nell’Italia del 1862 è incentivare lo scambio di comunicazioni, perché solo in questo modo gli italiani possono cominciare a sentirsi veramente tali e a parlare italiano. Negli uffici postali ci sono a disposizione del pubblico pennino e calamaio: la maggior parte delle persone non sa leggere, non sa scrivere, ma gli impiegati sono lì ad aiutare.
Dal 1863 le Poste applicano sostanzialmente una tariffa unica: il prezzo delle spedizioni è fisso e indipendente dalla distanza, così da evitare che questa possa essere di ostacolo ai commerci e alle comunicazioni: spedire una lettera da Torino ad Aosta costa quanto spedirla a Reggio Calabria.
Sotto il profilo economico, per chi spedisce, non è una differenza da poco, specie in un Paese lungo e stretto come l’Italia, con due grandi isole e tante isole più piccole. In effetti, non è esattamente una tariffa unica, perché un piccolo sovraprezzo c’era per chi spediva “fuori distretto”, ma che poi il “fuori distretto” fosse a 100 o 1.000 chilometri di distanza non faceva differenza. Con l’introduzione della cartolina postale nel 1874, scrivere brevi messaggi diventa ancora più conveniente e permette di risparmiare.

I volumi di traffico aumentano significativamente in pochissimi anni. Nel 1862 si spediscono 60 milioni di lettere; nel 1900 sono più di 160 milioni. Nel 1874 si spediscono 9 milioni di cartoline; nel 1900 sono più di 82 milioni, fra postali e illustrate.
Ci vorranno circa cinquant’anni perché si compia la nascita della Nazione. Ci vorrà la Grande Guerra.
 
archiviostorico@posteitaliane.it

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Il primo francobollo italiano, i telegrafi, le prime cartoline... tutti gli oggetti che aiutarono la lingua italiana a diffondersi nel nostro Paese.