Fin dall’Ottocento le divise degli agenti e degli ufiziali postali, in Italia e non solo in Italia, sono disegnate sul modello di quelle militari. Nel secondo dopoguerra le divise di rappresentanza dei più alti in grado scompaiono e, in generale, è tenuto ad indossare una divisa chi è a contatto con il pubblico (portalettere, portapacchi, fattorini), gli impiegati negli uffici postali e i dipendenti impegnati nello smistamento e nella “movimentazione” di corrispondenza e pacchi. I primi indossano delle vere e proprie divise, gli altri un semplice camice.
Le divise si ingentiliscono e somigliano sempre più nel taglio e nella foggia agli abiti civili, così come accade anche per le divise di soldati e ufficiali che, nelle loro Armi, non svolgano attività prettamente militari. Per esemplificare, un contabile che lavori alle Poste può indossare propri abiti civili, protetti da un camice; un militare che lavori nell’Esercito come contabile indossa invece una divisa, con pantaloni, camicia, cappello, giacca. A questa tipologia sembrano ispirate le divise dei portalettere.
A cambiare, subito dopo il referendum del due giugno del 1946 (con cui si chiedeva ai cittadini di scegliere fra Regno e Repubblica) è il fregio che compare sul cappello del portalettere. Non più un emblema del Regno d’Italia, con annessi e connessi (vedi articoli precedenti sul tema), ma una placca metallica che comprende la scritta “Repubblica Italiana”. Nell’esposizione dedicata ai primi 160 anni delle Poste italiane, ancora in corso nelle Poste centrali di Roma, a piazza San Silvestro, fa bella mostra di sé un cappello da portalettere del 1927 su cui è stato applicato il nuovo fregio delle Poste repubblicane.
Come in passato, c’è una versione estiva e una invernale della divisa: cambiano i tessuti e un po’ i colori. Il blu – che è il colore di riferimento delle divise postali – nella versione estiva sfuma nell’azzurro. Cambia anche la dotazione che, nella versione invernale, comprende anche giaccone o cappotto, impermeabile, persino una mantella, ultimo retaggio delle divise ottocentesche.
Naturalmente abbiamo una versione maschile e una femminile. La gonna torna ad essere sotto il ginocchio; nel 1942, invece, era di qualche centimetro più corta, proprio a filo del ginocchio, per risparmiare sulla quantità di tessuto utilizzato. Una scelta più che comprensibile in anni di guerra e di privazioni. Per il resto, l’unica cosa veramente importante da segnalare è che le divise vengono fornite gratuitamente, a differenza di quanto accadeva in passato.
La grande svolta avviene agli inizi del 2002, quando le divise dei portalettere mutano radicalmente. Cambiano i colori, con una forte dominanza del giallo. Cambiano le linee, ispirate a giacche a vento e giubbotti. Cambiano i materiali, con l’utilizzo di tessuti tecnici per giubbotto e borsa. Cambia il cappello, che diventa sportivo con una visiera molto estesa, come i cappelli da baseball. Una rivoluzione, pensata anche per migliorare la sicurezza sul lavoro.
Negli oltre cinquant’anni precedenti, invece, le divise erano rimaste sostanzialmente immutate, con alcuni ritocchi e interventi qua e là. Le passiamo in rassegna nel video che accompagna questo articolo.
Le divise si ingentiliscono e somigliano sempre più nel taglio e nella foggia agli abiti civili, così come accade anche per le divise di soldati e ufficiali che, nelle loro Armi, non svolgano attività prettamente militari. Per esemplificare, un contabile che lavori alle Poste può indossare propri abiti civili, protetti da un camice; un militare che lavori nell’Esercito come contabile indossa invece una divisa, con pantaloni, camicia, cappello, giacca. A questa tipologia sembrano ispirate le divise dei portalettere.
A cambiare, subito dopo il referendum del due giugno del 1946 (con cui si chiedeva ai cittadini di scegliere fra Regno e Repubblica) è il fregio che compare sul cappello del portalettere. Non più un emblema del Regno d’Italia, con annessi e connessi (vedi articoli precedenti sul tema), ma una placca metallica che comprende la scritta “Repubblica Italiana”. Nell’esposizione dedicata ai primi 160 anni delle Poste italiane, ancora in corso nelle Poste centrali di Roma, a piazza San Silvestro, fa bella mostra di sé un cappello da portalettere del 1927 su cui è stato applicato il nuovo fregio delle Poste repubblicane.
Come in passato, c’è una versione estiva e una invernale della divisa: cambiano i tessuti e un po’ i colori. Il blu – che è il colore di riferimento delle divise postali – nella versione estiva sfuma nell’azzurro. Cambia anche la dotazione che, nella versione invernale, comprende anche giaccone o cappotto, impermeabile, persino una mantella, ultimo retaggio delle divise ottocentesche.
Naturalmente abbiamo una versione maschile e una femminile. La gonna torna ad essere sotto il ginocchio; nel 1942, invece, era di qualche centimetro più corta, proprio a filo del ginocchio, per risparmiare sulla quantità di tessuto utilizzato. Una scelta più che comprensibile in anni di guerra e di privazioni. Per il resto, l’unica cosa veramente importante da segnalare è che le divise vengono fornite gratuitamente, a differenza di quanto accadeva in passato.
La grande svolta avviene agli inizi del 2002, quando le divise dei portalettere mutano radicalmente. Cambiano i colori, con una forte dominanza del giallo. Cambiano le linee, ispirate a giacche a vento e giubbotti. Cambiano i materiali, con l’utilizzo di tessuti tecnici per giubbotto e borsa. Cambia il cappello, che diventa sportivo con una visiera molto estesa, come i cappelli da baseball. Una rivoluzione, pensata anche per migliorare la sicurezza sul lavoro.
Negli oltre cinquant’anni precedenti, invece, le divise erano rimaste sostanzialmente immutate, con alcuni ritocchi e interventi qua e là. Le passiamo in rassegna nel video che accompagna questo articolo.