Stai utilizzando una versione obsoleta di Internet Explorer.
Per una navigazione ottimale del sito ti consigliamo di aggiornare il browser ad una versione più recente: Aggiorna IExplorer

L’Italia è fatta. Ora bisogna fare gli italiani. Grazie (anche) alle Regie Poste.

Sono oltre cinquanta gli oggetti esposti nel Palazzo delle Poste di piazza San Silvestro, a Roma, per la mostra, inaugurata l’anno scorso, che celebra i primi 160 anni di Poste Italiane. Sono molti di più quelli che si possono vedere nelle fotografie esposte e nei filmati proiettati. Oggetti talvolta diventati “iconici” talvolta “ordinari”. Piccoli, come la cartolina-vaglia del 1893, medi, come un paio di insegne del secondo dopoguerra, e belli grandi come le quattro postazioni di un ufficio di posta militare da campo.
Tutti sono esemplificativi dei cambiamenti intervenuti nel nostro Paese in questi 160 anni e del ruolo che le Poste italiane hanno avuto in questo lungo processo. Ogni oggetto dice qualcosa di questi 160 anni. Ogni oggetto permette di raccontare una storia.
È quello che facciamo in questo spazio dedicato al patrimonio culturale di Poste Italiane e curato dall’Archivio Storico aziendale.
 
È una frase che ci siamo sentiti dire, spiegare, illustrare in tutte le salse alle scuole elementari, alle medie e alle superiori. I più fortunati se la sono ritrovata, magari in una versione più precisa e con tutti gli approfondimenti del caso, anche all’università. Una di quelle frasi così vere e così ben dette (nemmeno un’agenzia di comunicazione e di advertising avrebbe potuto fare di meglio) che alla fine diventano trite e ritrite: “L’Italia è fatta; ora bisogna fare gli italiani”, questo, grosso modo, il commento, all’indomani dell’Unità d’Italia, di Massimo D’Azeglio che di quell’Italia unita fu uno degli artefici.

In realtà quando il 17 marzo del 1861 viene proclamato il Regno d’Italia l’Italia non è ancora fatta e gli italiani ancora non esistono. Si farà l’Italia e si faranno gli italiani, grazie anche alle Regie Poste in cui confluiscono le amministrazioni postali dei diversi stati preunitari.
Comunicare è difficile, per l’assenza di una rete stradale e ferroviaria. In queste condizioni, non fare l’Italia è difficile, ma più semplicemente tenerla unita e a tenerla unita, a farla crescere, a fare in modo che gli italiani diventino italiani contribuiscono anche le Poste.
Gli italiani non si conoscono, parlano lingue diverse, ognuno il proprio dialetto. L’italiano è una lingua sconosciuta ai più e l’analfabetismo è elevatissimo: otto italiani su dieci non sanno né leggere né scrivere. Le Poste li aiutano a scrivere, a comunicare.
Nell’Italia di quegli anni spostarsi di una quindicina di chilometri significa affrontare un viaggio, con tutti i pericoli del caso. Quando ci si allontana dai principali centri abitati si rischia l’assalto dei briganti e di essere depredati dei propri soldi, quando va bene.

La “mission” di quegli può essere sintetizzata in tre punti:
  • fare l’Italia
  • fare gli italiani
  • farne dei risparmiatori
 
Perché, precisa la prima Relazione sul servizio postale Italia 1863: “il più sicuro criterio per giudicare della crescente civiltà di un popolo non può meglio dedursi che dal progressivo sviluppo del servizio postale. E perché, dichiara il più volte Ministro delle Finanze Quintino Sella: “un popolo vale quanto risparmia”.
Fra l’altro, fare l’Italia, fare gli italiani, farne dei risparmiatori rispecchia con largo anticipo quello che è uno dei valori fondanti della nostra società e di Poste Italiane, l’inclusione. Vedremo come. Vedremo perché.

archiviostorico@posteitaliane.it
 

Guarda alcune immagini della mostra Poste Storie