1861, nasce il Regno d’Italia. 1862, nascono le Regie Poste. Naturalmente nel nuovo stato unitario la posta funziona subito dappertutto, ma il compleanno viene ufficialmente datato al 5 maggio del 1862, perché in quel giorno una legge disciplina in modo organico le nuove Poste. Quelle nate dall’incorporazione delle amministrazioni postali degli stati preunitari, con tutta la complessità di armonizzare apparati tecnici come i telegrafi, le retribuzioni, le divise, la classificazione del personale, la normativa in generale e le tariffe dei diversi servizi, quella che oggi chiamiamo logistica e che allora era composta essenzialmente dalle vie e dalle tratte di mare percorsi da cavalli, diligenze, piroscafi.
Le Regie Poste svolgono in quel periodo un ruolo fondamentale, perché l’Italia non era ancora fatta e sicuramente c’erano da fare gli italiani. Nei delicati anni in cui lo stato italiano deve consolidarsi, le Regie Poste contribuiscono all’unità del Paese, grazie alla tempestività delle comunicazioni le diverse strutture dello Stato, fra il Governo e le amministrazioni locali, fra i ministeri e le prefetture. La posta, il telegrafo e il telegrafo senza fili, brevettato da Guglielmo Marconi nel 1896, permettono di raggiungere a una velocità allora sorprendente e in modo sempre più capillare tutta l’Italia. Portalettere, mezzi di trasporto, uffici postali e centri direzionali (i Palazzi delle Poste), chilometri e chilometri di cavi e pali del telegrafo mettono in rete l’Italia, la uniscono e aiutano gli italiani a comunicare. Nell’Italia che nasce nel 1861 gli italiani ancora non esistono. Ci sono i napoletani, i milanesi, i palermitani, i torinesi. Ognuno straniero ed estraneo all’altro. Parlano lingue diverse, in un contesto di analfabetismo diffuso. Lettere, cartoline e telegrammi che viaggiano liberamente da un capo all’altro del Paese li aiutano a conoscersi, a capirsi, a diventare italiani. Molti, moltissimi non sanno leggere, non sanno scrivere, ma negli uffici postali ci sono a disposizione pennini, calamai e impiegati delle Poste che aiutano. È anche così che gli italiani diventano italiani e imparano a familiarizzare e a conoscere quella misteriosa lingua straniera che era l’italiano.
Una politica di inclusione, ante litteram, che coinvolge l’intera popolazione, perché questa possa diventare una vera comunità nazionale.
All’epoca, spostarsi da una città all’altra, anche distante pochi chilometri era già un viaggio e con il brigantaggio poteva essere un’esperienza pericolosa. Il vaglia postale e il vaglia telegrafico permettono di viaggiare con maggior sicurezza, senza la necessità di portare con sé troppo denaro. Contribuiscono anche allo sviluppo economico, ai traffici, al commercio, perché costituiscono un sistema di pagamento comodo e sicuro. Nell’ufficio postale, con una cartolina si ordina un bidone di latte e con il vaglia si paga agevolmente la latteria che lo fornisce. Le Regie Poste favoriscono anche il risparmio, attuando anche in questo modo una politica di inclusione. Nel 1876 l’arrivo del Libretto di Risparmio Postale consente, anche a chi non ha a che fare con le banche, di mettere al sicuro i risparmi e di farli fruttare. Con quei risparmi poi, le Poste e la Cassa Depositi e Prestiti finanziano la realizzazione di opere pubbliche, ospedali, scuole, strade e linee ferroviarie. Quale inclusione può esserci se mancano infrastrutture e servizi?
Telegrammi, pacchi, lettere, cartoline, vaglia, libretti di risparmio sono servizi che contribuiscono da allora alla crescita economica, sociale e culturale del nostro Paese. Nelle principali città il Palazzo delle Poste li raccoglie tutti in una sede prestigiosa, con servizi all’avanguardia, che deve anche simboleggiare la presenza dello Stato. Quando nel 1871 Roma diventa capitale d’Italia iniziano i lavori per dotare la città di un Palazzo delle Poste degno del suo nuovo rango, quello di piazza San Silvestro, inaugurato nel 1879. Nel 1911, Cinquantenario del Regno d’Italia, il Presidente del Consiglio dei ministri Giovanni Giolitti e il Ministro delle Poste Teobaldo Calissano inaugurano a Torino il Palazzo delle Poste di via Alfieri. Nel pieno della Grande Guerra, nel 1917, il Ministro delle Poste Luigi Fera inaugura il nuovo Palazzo delle Poste di Firenze.
Intanto, continua ad aumentare anche il numero degli uffici postali: poco più di 2.000, nel 1862 diventano 5.200 nel 1889 e 10.000 alla viglia della Grande Guerra, una rete che mette in rete il Paese.
Fra le due guerre si succedono le inaugurazioni di tanti, tantissimi Palazzi delle Poste, a La Spezia (con i mosaici dei pittori futuristi Filìa e Prampolini), a Palermo (un piccolo museo futurista in virtù delle opere di Benedetta Cappa Marinetti, di Tato, di Piero Bevilacqua), a Bergamo (con due quadri di Mario Sironi). E poi, a Massa, a Gorizia, a Brescia, a Bari. Edifici progettati da ingegneri e architetti che hanno lasciato un segno nella storia dell’architettura, Giuseppe Vaccaro, Angiolo Mazzoni, Adalberto Libera, Marcello Piacentini. E nel dopoguerra il geometra (alle Poste di Catanzaro) e pittore già noto Mimmo Rotella da continuità al tema delle Allegorie della Comunicazione con un murale nell’ufficio postale della sua città. Nel complesso, le Poste contribuiscono anche al patrimonio culturale, artistico e architettonico del nostro Paese.
158 anni al servizio del nostro Paese e della comunità nazionale. Nel secondo dopoguerra il risparmio postale sostiene la ricostruzione e il boom economico, una capillare rete telex favorisce il commercio e l’industria, permette alla Pubblica Amministrazione di comunicare velocemente, la rete aerea postale notturna e il CAP garantiscono una logistica più efficiente e riducono i tempi di consegna della posta. E poi i centri di meccanizzazione postale, i centri di elaborazione dati…
La vita di Poste si intreccia con quella del nostro Paese. Nella buona e nella cattiva sorte. In momenti drammatici, come l’alluvione che colpì l’Italia nel 1966 e il terremoto in Irpinia nel 1980, quando i nostri colleghi di allora portano soccorso alla popolazione e in momenti di spensieratezza, occasioni speciali come le Olimpiadi Invernali a Cortina nel 1956 e le famose Olimpiadi di Roma nel 1960.
Una storia che ripercorriamo anche con un filmato dal nostro Archivio Storico nella sezione I nostri filmati.
archiviostorico@posteitaliane.it
Le Regie Poste svolgono in quel periodo un ruolo fondamentale, perché l’Italia non era ancora fatta e sicuramente c’erano da fare gli italiani. Nei delicati anni in cui lo stato italiano deve consolidarsi, le Regie Poste contribuiscono all’unità del Paese, grazie alla tempestività delle comunicazioni le diverse strutture dello Stato, fra il Governo e le amministrazioni locali, fra i ministeri e le prefetture. La posta, il telegrafo e il telegrafo senza fili, brevettato da Guglielmo Marconi nel 1896, permettono di raggiungere a una velocità allora sorprendente e in modo sempre più capillare tutta l’Italia. Portalettere, mezzi di trasporto, uffici postali e centri direzionali (i Palazzi delle Poste), chilometri e chilometri di cavi e pali del telegrafo mettono in rete l’Italia, la uniscono e aiutano gli italiani a comunicare. Nell’Italia che nasce nel 1861 gli italiani ancora non esistono. Ci sono i napoletani, i milanesi, i palermitani, i torinesi. Ognuno straniero ed estraneo all’altro. Parlano lingue diverse, in un contesto di analfabetismo diffuso. Lettere, cartoline e telegrammi che viaggiano liberamente da un capo all’altro del Paese li aiutano a conoscersi, a capirsi, a diventare italiani. Molti, moltissimi non sanno leggere, non sanno scrivere, ma negli uffici postali ci sono a disposizione pennini, calamai e impiegati delle Poste che aiutano. È anche così che gli italiani diventano italiani e imparano a familiarizzare e a conoscere quella misteriosa lingua straniera che era l’italiano.
Una politica di inclusione, ante litteram, che coinvolge l’intera popolazione, perché questa possa diventare una vera comunità nazionale.
All’epoca, spostarsi da una città all’altra, anche distante pochi chilometri era già un viaggio e con il brigantaggio poteva essere un’esperienza pericolosa. Il vaglia postale e il vaglia telegrafico permettono di viaggiare con maggior sicurezza, senza la necessità di portare con sé troppo denaro. Contribuiscono anche allo sviluppo economico, ai traffici, al commercio, perché costituiscono un sistema di pagamento comodo e sicuro. Nell’ufficio postale, con una cartolina si ordina un bidone di latte e con il vaglia si paga agevolmente la latteria che lo fornisce. Le Regie Poste favoriscono anche il risparmio, attuando anche in questo modo una politica di inclusione. Nel 1876 l’arrivo del Libretto di Risparmio Postale consente, anche a chi non ha a che fare con le banche, di mettere al sicuro i risparmi e di farli fruttare. Con quei risparmi poi, le Poste e la Cassa Depositi e Prestiti finanziano la realizzazione di opere pubbliche, ospedali, scuole, strade e linee ferroviarie. Quale inclusione può esserci se mancano infrastrutture e servizi?
Telegrammi, pacchi, lettere, cartoline, vaglia, libretti di risparmio sono servizi che contribuiscono da allora alla crescita economica, sociale e culturale del nostro Paese. Nelle principali città il Palazzo delle Poste li raccoglie tutti in una sede prestigiosa, con servizi all’avanguardia, che deve anche simboleggiare la presenza dello Stato. Quando nel 1871 Roma diventa capitale d’Italia iniziano i lavori per dotare la città di un Palazzo delle Poste degno del suo nuovo rango, quello di piazza San Silvestro, inaugurato nel 1879. Nel 1911, Cinquantenario del Regno d’Italia, il Presidente del Consiglio dei ministri Giovanni Giolitti e il Ministro delle Poste Teobaldo Calissano inaugurano a Torino il Palazzo delle Poste di via Alfieri. Nel pieno della Grande Guerra, nel 1917, il Ministro delle Poste Luigi Fera inaugura il nuovo Palazzo delle Poste di Firenze.
Intanto, continua ad aumentare anche il numero degli uffici postali: poco più di 2.000, nel 1862 diventano 5.200 nel 1889 e 10.000 alla viglia della Grande Guerra, una rete che mette in rete il Paese.
Fra le due guerre si succedono le inaugurazioni di tanti, tantissimi Palazzi delle Poste, a La Spezia (con i mosaici dei pittori futuristi Filìa e Prampolini), a Palermo (un piccolo museo futurista in virtù delle opere di Benedetta Cappa Marinetti, di Tato, di Piero Bevilacqua), a Bergamo (con due quadri di Mario Sironi). E poi, a Massa, a Gorizia, a Brescia, a Bari. Edifici progettati da ingegneri e architetti che hanno lasciato un segno nella storia dell’architettura, Giuseppe Vaccaro, Angiolo Mazzoni, Adalberto Libera, Marcello Piacentini. E nel dopoguerra il geometra (alle Poste di Catanzaro) e pittore già noto Mimmo Rotella da continuità al tema delle Allegorie della Comunicazione con un murale nell’ufficio postale della sua città. Nel complesso, le Poste contribuiscono anche al patrimonio culturale, artistico e architettonico del nostro Paese.
158 anni al servizio del nostro Paese e della comunità nazionale. Nel secondo dopoguerra il risparmio postale sostiene la ricostruzione e il boom economico, una capillare rete telex favorisce il commercio e l’industria, permette alla Pubblica Amministrazione di comunicare velocemente, la rete aerea postale notturna e il CAP garantiscono una logistica più efficiente e riducono i tempi di consegna della posta. E poi i centri di meccanizzazione postale, i centri di elaborazione dati…
La vita di Poste si intreccia con quella del nostro Paese. Nella buona e nella cattiva sorte. In momenti drammatici, come l’alluvione che colpì l’Italia nel 1966 e il terremoto in Irpinia nel 1980, quando i nostri colleghi di allora portano soccorso alla popolazione e in momenti di spensieratezza, occasioni speciali come le Olimpiadi Invernali a Cortina nel 1956 e le famose Olimpiadi di Roma nel 1960.
Una storia che ripercorriamo anche con un filmato dal nostro Archivio Storico nella sezione I nostri filmati.
archiviostorico@posteitaliane.it